I grillini e la moda

Oggi sono sono state inaugurate le Camere e ovviamente è iniziato il tam tam giornalistico di rito. In particolare, c’era da aspettarselo, l’attenzione di molti si è concentrata sui neoeletti del MoVimento 5 Stelle, che rappresentano una novità in quanto tale ma anche una notevole fonte di imprevedibilità, oltre ad essere stati negli ultimi settimane protagonisti di un battage mediatico alquanto insistito.

Per l’occasione, stamattina ho scritto un tweet in cui chiedevo come fossero vestiti i deputati e i senatori del movimento di Grillo. L’ho fatto perché nei giorni scorsi c’erano state dichiarazioni di attivisti che ci tenevano a ribadire che loro delle convenzioni  si interessavano gran poco, e del resto quelli intervistati da tv e giornali non erano apparsi molto propensi a uno stile molto formale, diciamo. La mia era una curiosità che non celeva alcun giudizio, anzi era alimentata da alcune dichiarazioni del presidente provvisorio del Senato (in quanto più anziano, 93 anni), Emilio Colombo, che aveva fatto sapere di voler cacciare quanti non avessero indossato in aula giacca e cravatta (una delibera in questo senso, in ogni caso, esiste ma vale solo per i visitatori, ai quali è richiesta la giacca e a cui i commessi parlamentari sono tenuti a fornire un “capo di cortesia” nel caso in cui non ce l’abbiano).

La mia richiesta di informazioni ha però scatenato qualche reazione molto piccata e chi si sia confrontato con i sostenitori del M5S online, in questi giorni, può avere idea di cosa parlo. Il che mi fa sorgere un doppio genere di considerazioni.

La prima è che alcuni sostenitori dei grillini – e quindi sto parlando non degli eletti, ma della “base”, diciamo – sono di un’aggressività allucinante. Il che forse è comprensibile data la pressione che da più parte si esercita sui grillini, in modo spesso denigratorio, compiaciuto o strafottente, ma soprattutto prevenuto. D’altronde è anche una gogna a cui chi si espone in pubblico deve abituarsi. Ma l’irosità con cui certi utenti cinquestellati ti si attaccano alla gola anche se osi insinuare che uno dei loro parlamentari è un pochino spettinato, per dire, è paragonabile solo a quando uno cerca di dire qualcosa di ironico su Justin Bieber e subito gli si scatenano contro orde di bimbeminchia intenzionare come minimo a decollarlo. Il fatto è che tutto ciò non favorisce il dialogo e la sindrome di accerchiamento avvertita dai grillini – che, ripeto, date le circostanze mediatiche in cui siamo, in parte comprendo – si trasforma nell’impossibilità di fare una qualsivoglia riflessione ma soprattutto trasforma loro in troll del web. Anche in casi sciocchi come questo, mi pare, in cui avevo accennato a un’inezia e non a un argomento sostanziale.

La seconda considerazione è invece avulsa dalla politica e riguarda più un fatto culturale, se vogliamo. La risposta più assurda che ho ricevuto, infatti, è stata: “Che c’entra come si vestono? L’abito non fa il monaco”. E qui il discorso diventa secondo me molto più ampio. Mi stupisce, infatti, che ci sia ancora gente in giro – nel 2013 – che sia convinta che il modo in cui ci vestiamo, il modo cioè in cui ci presentiamo in pubblico e in cui gli altri ci vedono, non dica assolutamente niente di come siamo o di come ci rapportiamo al mondo. Tutta gente, quella che dice che ognuno deve essere libero di vestirsi come gli pare per esprimersi pienamente, che quando si è laureata, o si è sposata o ha firmato un contratto da un notaio ci è andata in tuta, immagino. Possono anche essere convenzioni stupide o fine a se stesse, ma sta di fatto che alcune situazioni richiedo un certo tipo di abbigliamento e che, contravvenire a queste convenzioni, può essere sì sintomo di libertà ed espressività, ma rivela anche incomprensione di certe regole sociali e della funzione di certi momenti. Tutto ciò è, secondo me, legato anche al fatto che ci si ostina – per un pregiudizio nato chissà dove (dal pauperismo filocomunista, forse) – che la moda sia solo esteriorità frivola e banale. Eppure se ci pensiamo ci vestiamo in un certo modo ed esistono differenze di abbigliamento precise (gli uomini non mettono le gonne e le donne non mettono i boxer, per dire) perché l’abbigliamento è anch’esso un linguaggio, un linguaggio che – proprio come i mezzi linguistici più propriamente detti – ci ha messo secoli per definirsi e comunque è destinato a cambiare. Logico quindi che se un giorno tutti i parlamentari cominciassero ad andare in aula in felpa (com’è vero che oggi come oggi molti mettono solo la giacca e non più la cravatta), molto probabilmente prima o poi quella divverà la regola: ma così come atualmente io scrivendo non metto gli articoli dopo i sostantivi perché non è convenzione accettata, allo stesso modo se vado a un funerale non mi vesto di rosso e se vado in Parlamento mi metto un completo elegante. Non sono stupidaggini, sono adeguamenti a una situazione che ha le sue consuetudini. La retorica del “non è il vestito quello che conta” non tiene conto di una realtà in cui tutti, più o meno e nel bene o nel male, siamo influenzati dalla moda, e non perché essa è qualcosa che ci condiziona dall’esterno, ma perché è qualcosa che comunque ci permette di esprimerci. E se non ci esprimiamo con mezzi e con simboli che anche altri condividono e comprendono, molto probabilmente non verremo capiti. Sfido chiunque del Movimento 5 Stelle ad esporre una proposta di legge in kimono e cercare di apparire credibile anche agli altri due terzi di popolazione che non l’ha eletto.

Credo insomma che la libertà, anche nello stile, sia qualcosa che ci si guadagna quando si aggiunge consistenza a convenzioni che solo apparentemente sono superficiali.  La moda non è, se non estremizzata, un orpello ma è un sistema simbolico, oltre che funzionale (mettetevi le mutande in testa e poi mi dite). Un certo impianto retorico che afferma che l’abito non fa il monaco, si dovrebbe interrogare sul fatto che anche a tutt’oggi i monaci, anche se questo teoricamente non li definisce in tutto e per tutto, comunque continuano a vestirsi col saio e gli altri no. E andassero in giro nudi se non gliene frega niente degli abiti, quelli dell’abito che non fa il monaco.

Detto questo a breve debutta su Liberlist una nuova rubrica, The Styler, che essenzialmente metterà insieme immagini di moda e parlerà di stile attraverso di essere. Sempre con buona pace di quelli che non credono nei sai.

Senato - seduta inaugurale XVII legislatura

p.s. A conferma di quello che ho affermato – l’abbigliamento come linguaggio, consapevole molto spesso, per esprimere anche se stessi – l’immagine sopra ritrae un deputato del M5S, Marco Scibona, con una cravatta che manifesta la sua contrarietà alla Tav. In questo caso l’abito fa il monaco oppure no?

5 responses to “I grillini e la moda

  1. Trovo davvero assurdo questo voler ostentare continuamente la propria non convenzioanlità da parte degli eletti del M5S. Ma non si rendono conto che così facendo si stereotipano da soli? Vogliono fare quelli che sono contro tutti e contro tutti, ma poi di fatto sono totalmente omologati nel loro voler essere diversi ad ogni costo, rappresentano un piccolo esercito, l’esercito di un leader che in Parlamento nemmeno ci è entrato.
    Sono d’accordo sul fatto che l’abito (o anche solo la cravatta) lo fa eccome il monaco.

  2. In generale le convenzioni sociali, a differenza del linguaggio, il quale si puo’ considerare una effettiva tecnologia, hanno lo scopo di difendere e conservare i valori e le credenze della popolazione comune, quando addirittura non servano a mantenere l’ “ordine” sociale. Ovviamente l’uomo medio prova disagio nel veder infrangere le convenzioni che gli sono care.
    E’ indubbiamente conveniente quindi, nel mondo degli affari e della politica, quando si interagisce con l’uomo medio, dargli da intendere che le sue convenzioni sociali vengono rispettate.

    Il linguaggio come primo scopo ha quello della reciproca comprensione.
    L’ “abbigliamento” svolge sicuramente la funzione di medium, ma solo in seconda, perchè la sua principale funzione è stata e rimane la protezione del corpo dagli agenti atmosferici.
    Per questo penso che tu abbia scritto un’ idiozia quando parli dei frati. La ragione per cui non vanno in giro nudi è perchè avrebbero freddo.
    In effetti possiamo notare come le popolazioni indigene delle regioni equatoriali non abbiano sviluppato molto questo aspetto, in quanto di fatto superfluo.
    La retorica è la tua, non quella del famoso proverbio, che usi volontariamente in maniera inappropriata per difendere la tua legittima passione per la moda.

    Il fatto che noi valutiamo la rispettabilità, o che pretendiamo di sapere qualsiasi altra cosa di una persona dalla presa visione del suo aspetto, fisico ed esteriore, deve sicuramente avere una qualche ragione riconducibile ai nostri istinti, ma certamente è un fatto deprecabile dal punto di vista razionale e andrebbe denunciata e combattuta con tutte le forze dai giovani intellettuali del terzo millennio.
    L’unica informazione ottenibile in definitiva guardando un’uomo infatti è quanta cura impiega nell’ assecondare le convenzioni sociali. Alcuni di noi ritengono queste cose poco rilevanti.
    Se invece riteniamo di dover dare importanza a un fatto come questo, allora possiamo esprimere un giudizio, e quindi avremo quello che si dice un “pregiudizio” su questa persona.
    Tutto il resto sono chiacchiere inutili, cioè perdita di tempo.

    E’ un fatto che l’industria della cosiddetta “moda” abbia una grande rilevanza sociale.
    E’ un fatto che i prodotti di tale industria siano in alcuni casi esempi di eccellenza artigianale e artistica.
    E’ un fatto che molte persone guadagnino il loro pane attraverso tale industria, compresi coloro che scrivono articoli sull’argomento.
    Ma queste non sono condizioni sufficienti per sostenere che l’abbigliamento di una persona “esprima” qualcosa della persona stessa, se non appunto la sua conoscenza delle convenzioni sociali, informazione irrilevante dal punto di vista delle capacità lavorative, per esempio, o capacità in genere (irrilevante tranne che per l’uomo medio).

    Comedici tu la contravvenzione alle regole sociali puo’ essere segnale di libertà e di espressività, o di incomprensione delle regole sociali o di certi momenti di particolare rilevanza sociale.
    Ma queste sono solo due possibilità.
    Ne possiamo immaginare (con un piccolo sforzo intellettuale, che richiede un po’ di tempo) una terza:

    quella del rifiuto sistematico di quelle regole sociali di cui comprendiamo perfettamente il significato, ma che riteniamo inutili.

    Inoltre l’atteggiamento generico di difesa delle convenzioni sociali puo’ anch’esso apparire un sintomo, per esempio puo’ interpretarsi in un intenzionale tentativo di conservazione della domanda in alcuni tipi di mercato.

    Saluti da gb

  3. “L’ “abbigliamento” svolge sicuramente la funzione di medium, ma solo in seconda, perchè la sua principale funzione è stata e rimane la protezione del corpo dagli agenti atmosferici.”

    Non sono d’accordo che sia un medium in seconda. In realtà tutti i linguaggi hanno una funzione puramente di comunicazione immediata (denotativa) e una di funzione più accessoria (connotativa): come noi usiamo la lingua non solo per esternare necessità ma anche per scrivere poesie ad esempio, così usiamo l’abbigliamento per coprirci ma anche per esprimere qualcos’altro.

    “Per questo penso che tu abbia scritto un’ idiozia quando parli dei frati. La ragione per cui non vanno in giro nudi è perchè avrebbero freddo.”

    Se leggi bene quello che ho scritto, ho detto “andassero in giro nudi, quelli che l’abito non fa il monaco” (cioè quelli che sostengono questo). Non dicevo che i frati debbano andare in giro nudi: anzi, dicevo che loro si coprono dal freddo come noi, ma lo fanno in modo diverso e ben codificato – evidentemente per esprimere l’appartenenza a un gruppo e un insieme di valori preciso. Sennò metterebbero anche loro giacca e cravatta. Non mi pare di aver detto un’idiozia, dunque.

    “In effetti possiamo notare come le popolazioni indigene delle regioni equatoriali non abbiano sviluppato molto questo aspetto, in quanto di fatto superfluo.”

    Vero, le loro condizioni climatiche permettono a certe popolazioni di non indossare abiti come li intendiamo comunemente. Ma queste stesse popolazioni hanno numerosi accessori, tipo copricapi, piumaggi amuleti e gioielli – degli “abiti” per estensione – che usano per significare differenze sociali, identità religiose, appartenenze a gruppi, passaggi di iniziazione ecc. Dunque anche loro hanno codifiche esteriori per esprimere qualcosa di “interiore.”

    “Inoltre l’atteggiamento generico di difesa delle convenzioni sociali puo’ anch’esso apparire un sintomo, per esempio puo’ interpretarsi in un intenzionale tentativo di conservazione della domanda in alcuni tipi di mercato.”

    La moda, valutandola storicamente, più che conservare le convenzioni sociali le ha sempre in qualche modo spinte al cambiamento: pensiamo alle minigonne, ai jeans, alle divise militari, alla mascolinizzazione dell’abbigliamento femminile ecc. In effetti nell’articolo ho detto che quando diverrà consuetidine andare in Parlamento in felpa, allora sarà accettabile farlo. Essendo convinto che lo stile sia un linguaggio sono altrettanto convinto che si basi su convenzioni alla lunga mutabili, non potrebbe essere altrimenti. Il punto che mettevo a fuoco io era però non tanto sulla scelta dei parlamentari del M5S di non andare vestiti eleganti (cosa che peraltro hanno fatto), ma sulla retorica dei loro sostenitori online che negavano che il valutare come quegli stessi parlamentari andavano vestiti fosse rilevante.
    Mi pare anche da quello che hai detto tu che fosse molto rilevante, invece: scegliere di andare vestiti in modo non convenzionale avrebbe avuto un chiaro significato di cambiamento politico. Ecco perché mi interessava sapere come erano andati vestiti ed ecco perché ribadisco l’importanza della valutazione dell’abbigliamento in determinati contesti.

    La vedo così io, ma probabilmente è perché sono un uomo medio.

  4. Puo darsi che tu sia un uomo medio, io non sono nessuno per venirtelo a dire in faccia.

    Tu scrivi: “Non sono d’accordo che sia un medium in seconda. In realtà tutti i linguaggi hanno una funzione puramente di comunicazione immediata (denotativa) e una di funzione più accessoria (connotativa): come noi usiamo la lingua non solo per esternare necessità ma anche per scrivere poesie ad esempio, così usiamo l’abbigliamento per coprirci ma anche per esprimere qualcos’altro.”

    La mia opinione diverge dalla tua, se leggi bene, solo perchè io considero i vestiti come “vestiti”, e in secondo luogo come “medium”.
    Tu veramente consideri la funzione primaria dei “vestiti” quella di “linguaggio, con funzione puramente di comunicazione denotativa, e accessoriamente connotativa”???
    Non nascondo il mio stupore.
    Ma potrei sbagliarmi ovviamente.
    Comunque si, tu hai parlato di “un certo impianto retorico che afferma che l’abito non fa il monaco, ma i monaci si vestono tutti col saio, e quelli dell’impianto retorico andassero in giro nudi”.
    Quello che dovresti aver compreso dalla mia risposta evidentemente poco chiara, è che il saio manda un messaggio controtendenza, cioè: “l’abito non conta un cazzo, se non consideriamo la sua funzione essenzialmente pratica”.
    Che è anche parte del significato del proverbio, che invita a non curarsi delle apparenze.
    Un’ “impianto retorico” oserei dire piuttosto condivisibile.
    Credo che su questo tu, ferreo sostenitore dei diritti dei diversi e dei piu’ deboli, non ti possa mettere a filosofeggiare piu’ di tanto.

    Scrivi anche
    …ribadisco l’importanza della valutazione dell’abbigliamento in determinati contesti.

    E’ quello che ho specificato nelle prime righe anche se i motivi per cui la consideriamo importante sono differenti.
    E’ una questione di opinione credo.

  5. Ooooooooooooops

    Quando scrivi:
    “Non sono d’accordo che sia un medium in seconda. In realtà tutti i linguaggi hanno una funzione puramente di comunicazione immediata (denotativa) e una di funzione più accessoria (connotativa): come noi usiamo la lingua non solo per esternare necessità ma anche per scrivere poesie ad esempio, così usiamo l’abbigliamento per coprirci ma anche per esprimere qualcos’altro.”

    hai perfettamente ragione!
    Sorry, è tardi e ho letto in fretta, ritiro le otto righe successive.

    Comunque io ho distinto “funzione pratica” da “funzione mediatica”, tu invece chiami “medium” il mezzo (ovviamente) e fai la mia stessa distinzione successivamente. L’importante è capirsi.
    Vorrei solo sottolineare bene il carattere di quei “non solo” e “ma anche”.
    Mi piacerebbe anche capire come fai a trarre le tue conclusioni da premesse del genere.

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